Pagine

21 apr 2025

Vipassana

Non è nulla di così importante da essere menzionato, ma -vedi i casi della vita- stamattina mi è comparsa una risposta sull'app Quora che faceva riferimento alla c.detta Meditazione Vipassana, che, facendo qualche ricerca, scopro viene praticata in provincia di Firenze. Potrebbe essere un modo bello per rivedere la Toscana (a due ore di distanza di treno) e aprirmi a pratiche spirituali di guarigione. Da tempo desidero dedicarmi alla scienza dello spirito (filosofia esoterica, ad esempio...). Leggere gli articoli di Rudolf Steiner e divorare il libro "Il Tao della fisica" di Fritjof Capra mi ha portata a sviluppare un intenso amore per la spiritualità dell'Oriente.
 
Perciò tengo d'occhio la pagina dei corsi di Vipassana per iscrivermi verso luglio-agosto. L'esperienza, che avrei piacere di provare, è della durata di dieci giorni.
 
Ho ripreso a dipingere, e l'ultimo quadretto mi è venuto un po' più gradevole. Perciò mi sono entusiasmata e penso di usare la pittura acrilica come un hobby vero e proprio. Ho provato a fare uno schizzo su tela di figure umane, ma nonostante sappia disegnarle su carta, sulla tela non rendo. Inoltre amo più dipingere paesaggi. Il primo dipinto fu un'oasi nel deserto. Il secondo, un soggetto semplicissimo: il cielo, il mare, una roccia sulla destra, le nuvole. Dipingere mi rilassa molto.
 

 

16 apr 2025

Vittime si muore

Come si trova la quadra fra rispettare e attenzionare con serietà e auto-compassione il proprio dolore e trincerarsi dietro un alto muro invalicabile - l'identità di "vittima"? Chiudersi nel bozzolo del voi-non-potete-capire isola da ciò che è -anche secondo Sartre- veleno e antidoto di ogni male dell'uomo: gli altri. E' l'atteggiamento tipico della vittima.
 
Uno scrittore genovese sproloquiava un aneddoto: non si è mai vittime, ma si fa le vittime. Non sono d'accordo con lui, e penso che soffermandosi un po' a pensarci non molti possano esserlo. Tuttavia ho amato questo aforisma -tant'è che lo tengo a memoria da più di dieci anni- perché l'intento è buono e apre ad una prospettiva di progresso. C'è qualcosa di vero e di falso. Le vittime esistono: non c'è dubbio. A volte non si "fa" le vittime, ma si è vittime; su questo siamo d'accordo. Forse quello che lo scrittore voleva trasmettere era altro: un invito ad uscire dalla dinamica dell'identità di vittima.
Poiché ad essere vittime ci si sente impotenti, soli, incomprensibili, e in ultimo alienati dal resto dell'umanità, diversi, senza speranza di guarigione; forse ci si condanna da soli a un "ruolo" che deve essere mantenuto anche quando non ce n'è più necessità.
 
Si "fa" le vittime a un certo punto, è vero: perché l'etichetta di "vittima", comportando molta solitudine, reca anche dei vantaggi secondari. Ed è per quei vantaggi secondari che si fa del proprio dolore tutto ciò che di sé c'è da presentare, tutto ciò che si possiede e che si è. Sono quei vantaggi secondari che impediscono guarigione, superamento del trauma e crescita, cambiamento ("Io sono dolore incarnato").
 
Finché ci si sente vittime, anche quando lo si è, o lo si è stati, si sarà sempre impotenti. L'etichetta di vittima è un rassegnarsi alla morte, all'infertilità, al blocco, alla patologia.
 
Non mi perdo a pensarci sopra. Da quando vivo la mia vita davvero -scialba, noiosa che sia... però la vivo- sono concentrata sul fare più che sul pensare. Sospendere il giudizio -verso me e gli altri- mi è stato di grande aiuto. Non c'è questo grande bisogno di pensare, eppure non possiamo smettere di farlo, anche quando non è opportuno, è in eccesso, è tossico per la nostra mente e il nostro umore. 
 
Più che di trincerarsi negli studi dei freudiani, consiglierei alle persone sofferenti, a quelle che affrontano un PTSD, una depressione, disturbi d'ansia, di panico, di dedicare mezz'ora al giorno alla meditazione. Che è un semplice "porre attenzione al respiro (o ad altro di fisico) e astenersi dal pensare". Non pensare sembra una cosa assurda: è la strada della consapevolezza. Che è come dire: la strada della vita.

14 apr 2025

Pagina dopo pagina...

Ho rimesso ognuno al suo ruolo. Questo semplifica molto la vita. Non devo preoccuparmi di essere piacevole con ogni singola persona con cui ho a che fare. Credo che il retaggio dell'educazione -patriarcale- di mia madre mi imponga da sempre un remissivo "sii carina". Sii carina. Sii compiacente. Sii piacevole e servizievole. 
 
Sono lontana. Non come una nazifem. Però più libera da quelle catene oppressive di comportamento. 
 
La famiglia di mia madre era vecchio stampo. Lei si entusiasmava di quelle "lotte femministe" dell'età della sua gioventù (anni 70) pur restando schiava e vittima in una famiglia estremamente maschilista e patriarcale. E' stato piacevole ascoltare con lei diversi podcast alla radio sul femminismo moderno. Le ho regalato un libro semplice di una moderna femminista che ha un canale Youtube che seguivo con piacere fino a qualche tempo fa. 
 
Personalmente sono andata oltre: ho pagato un libro di Simone de Beuvoir (Per una morale dell'ambiguità). Benché mi interessasse il discernimento fra "persone serie" e "sub-uomini" di cui trattava, più che i suoi discorsi sull'oppressione delle donne.
 
Sto destreggiandomi fra altri quattro libri e programmo di leggerne una sessantina nel 2025 (inserirò Simone da qualche parte). Dedico ogni giorno mezz'ora a ciascun libro. Il mio sangue diventa vin brulè al pensiero di tutti quelli che ho ancora da leggere.
 
 

10 apr 2025

Burnout?


La televisione è sempre accesa su Radio 3 Classica. La mia unica droga, tolti tabacco, alcool, benzo, è la musica di Bach. Negli ultimi giorni sono più calma. Prendo le mie benedette medicine ogni mattina, leggo, faccio qualche lavoretto a casa (non mi ammazzo). Svapo la e-cig senza nicotina, galleggiante in un fondale di morbido, ovattato nulla. Sono spenta. E non è il burnout più di quanto lo siano anni di abusi di sostanze cancerogene. 
 
Burnout? Possibile. Meglio così, aggiungo.

 

2 apr 2025

De-sideri; la tecnica di Igor; le famiglie interne

Rassegnarsi ad una vita povera, noiosa, ripetitiva, restare nella comfort zone non provoca tensioni di sorta, eppure senza sentire quel dolore dato dal desiderio sprofonderemmo nella condizione di chi "muore ogni giorno".

De-siderio deriva da de-sidera: de (distanza da) e sidera (stelle). Il desiderio è per sua natura irraggiungibile, come incolmabile è la distanza fra la Terra e il cielo di stelle. Invece bisogna imparare a sapere cosa si vuole e a volerlo fortemente.

Sto infatti scrivendo la lista dei 150 desideri dalla tecnica dei 101 desideri di Igor Sibaldi. Si dimostra abbastanza difficile, nonostante dipenda anche un po' dai momenti. Alcune volte sono abbastanza sciolta da scrivere una decina di desideri in pochi minuti.

La tecnica sembra abbastanza accreditata e avallata da tante testimonianze di successo.

Oggi con un po' di penina pensavo a quanti hanno già molto più di quanto ho io, e che sedersi tutti i giorni a scrivere su un quadernino ciò che si vuole può sembrare da fuori patetico. Sperando che non sia un ennesimo fallimento (in passato avevo già cominciato e poi interrotto la lista una volta), il che sarebbe ancora più patetico.

Alla fine, non è un esercizio che comporti chissà quale dispendio emotivo.

Finalmente ho cominciato Terapia dei sistemi familiari interni di Richard Schwartz, sono tiepidamente incuriosita e mi sembra una teoria psicoanalitica estremamente affascinante. All'interno di ognuno di noi c'è un sistema famigliare organizzato, con diverse "personalità" ciascuna con un'età e un carattere diverso, e con un intento complessivamente preservativo per l'integrità del sé. (Nel bene o nel male).

E' un libro cartaceo. Forse mi trovo più serena a leggere su carta che in digitale, nonostante in passato con l'e-reader mi sembrasse di aver trovato l'America, sto cambiando idea.

Un granello di sabbia ogni giorno comporrà pure un mosaico?

Continuo ad accumularne ogni giorno.