Il giorno di san Valentino 2025 ho scritto, come di consueto, una lettera al mio fidanzato, ma più che una lettera d'amore era una lettera d'addio. Si mascherava da lettera d'amore, ma tutto in essa ricalcava lo stile di una lettera che una suicida avrebbe lasciato alla persona per lei più cara. Infatti, dopo averla scritta, poche ore dopo, la sera del 13 febbraio, ho preso una manciata sostanziosa di medicine e sono andata a letto senza dire nulla. Mi sono svegliata nella notte con un senso di nausea e soffocamento preoccupante. Lui continuava a dormire.
Si finì negli artigli dei soliti medici, negli oscuri recessi di un macabro pronto soccorso, che comunque mi ha salvato l'indegna vita, quindi grazie.
Non so perché stiamo ancora insieme io e lui. A volte diceva che era masochismo il suo. Glielo rimbrottavo nei momenti di lite. Masochismo è riduttivo.
Forse ancora si tratta anche di un motivo meno mortificante, come la paura di lasciar morire il nostro mondo, o di essere soli, o di aver fallito.
Sarebbe stato molto triste se la mia idiozia mi avesse portata dall'altra parte lasciando una lettera di san Valentino come quella come ricordo. Eppure lo trovo ironico. Perché posto che san Valentino piace solo all'azienda dei baci perugina, una commerciale festa di consumismo, comunque nell'inconscio potrebbe significare ancora "amore" per tante persone e per me. Ed è nel giorno dell'amore che ho scelto di abbracciare (tentare di) la morte ancora una volta.
Per ciò potrebbe anche avere avuto ragione la sciagura degli ultimi cent'anni, Sigmund Freud, parlando di contrapposizione, eppure coesistenza, di eros e istinto di morte thanatos. Mi sembra di vivere la mia vita guidata da thanatos nonostante quanto mi sia stato dato che non meritavo, con un'ingratitudine esecrabile.
Non sono fatta per la vita. Sono inadeguata a vivere. Perché a vivere ci sono delle regole. Le leggi del sociale. Mentre penso che fossimo tutti più felici quando correvamo nelle foreste e non conoscevamo la ruota, detto onestamente. Non c'era un concetto di "errore" intrinseco a quei tempi. Nessuno ti faceva sentire come se fossi sbagliato per ciò che eri fin dalle radici più profonde della tua mente. Vivevi. Forse morivi ammazzato dai nemici. Ma eri libero.
mi sovviene quel libro letto che parlava dell'intelligenza animale che svela tutta la stupidità umana. A livello evoluzionistico l'essere umano è quanto di più inadeguato. Non siamo una specie superiore.
Guardando il coniglio essere felice come una pasqua davanti a un quadro appoggiato al muro che può percorrere come se fosse un fantastico tunnel, mi domando: chi fra me e qualunque persona e il mio coniglio è più cervelluto? Risposta chiara: il coniglio. Dato che tutti andremo a morire, è meglio non avere una struttura mentale così complessa, che provoca così tanto inutile patimento - dovuto non solo a faccende di sofferenza oggettiva ma soprattutto immaginata. Nietzsche la pensava così. Guardava con invidia agli ovini che pascolavano nei prati. Loro "sono" e non devono rendere conto a nessuno. Noi fingiamo di essere qualcosa che ci permetterà di limitare al minimo una sofferenza che è inevitabile e che resta sempre enorme, e che è data proprio dal fatto che siamo umani (e non narvali): ci poniamo troppe domande, troppi perché.
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