Ho trascorso tutta la vita (fino ad oggi) senza averne neanche uno. Al liceo (frequentavo il ginnasio) sembrava che le compagne di classe conducessero una vita spassosamente attiva, andavano a feste, uscivano, d'estate si rilassavano al mare, facevano tardi la notte il sabato sera. A quell'età è una vita normale. Vedendo tutte quelle persone che si davano - mi sembrava - alla pazza gioia mentre io a casa facevo "la lana" mi portava a sentirmi estremamente triste e sola.
Fino ai sedici anni prestavo molta attenzione alle interazioni che ricevevo su social come Facebook. Nel mio caso erano zero o nessuna; altri contatti collezionavano like alle foto (selfie o di gruppo) come se piovesse. Mi sentivo un'esiliata dal mondo, non solo sociale ma anche "social". Credevo che in qualche modo essere popolari sui social equivalesse ad esserlo nella vita reale, perciò. Avrei capito solo più tardi che il parallelismo non è che sia perfettamente reale. Ci sono tante persone che riescono ad ottenere un ottimo seguito nella realtà di Internet perché su Internet (nella realtà virtuale) vengono sdoganati i freni inibitori e molte paure tipiche dell'interazione vis-a-vis non sussistono. Molte persone popolari sui social sono sole nella vita reale. Ma diciamo anche che sono sole, per lo più, anche quelle che nella vita reale non lo sembrano.
Vedevo mia cugina condurre una vita "spericolata" alla Vasco ad esempio, sin da quando era ragazzina: viaggi in auto con gli amici, concerti, esperienze, trasferimenti, feste... Anche se denunciava di soffrire di depressione, al contempo. Non è che sia strano: la voglia di evadere dal bozzolo della propria sofferenza si manifesta spesso nella vita mondana. Si vantava di quanti amici avesse e di quanto fosse popolare. Con il tempo - al momento va per i quaranta - l'ho vista cambiare decisamente umore.
Quello che oggi si intende comunemente per amico è persona con cui cazzeggiare e passare il tempo. Nella maggior parte dei casi quelle stesse persone con cui ti diverti e ti svaghi ti rifilano carognate. Ma tu continui a chiamarli "amici" anche se non c'è un barlume di sincerità ad unirvi. Mi dispiace di essere così ingenua da capirlo così tardivamente. Ho vissuto in una campana di ferro al di fuori della quale il mondo sembrava darsi alla pazza gioia, e ne sono rimasta persuasa fino a tarda età, perché non ho mai avuto esperienze o riscontri oggettivi che confutassero questa convinzione. A farmi aprire definitivamente gli occhi, per l'ennesima volta, è stata una confessione: "Io non ho molti amici, non credere. Ho qualche amico di infanzia, due o tre". Detta da una persona perfettamente "normale" con cui collaboro. Si è privi di veri amici sin dall'inizio nella maggior parte dei casi; dopo i 25 si comincia a prenderne atto e dopo i 30 spesso si arriva al rigetto: si decide di tagliar via le relazioni superficiali, si sente il bisogno di dedicarsi alla solitudine. Sempre che la solitudine non terrorizzi.
Io non ho avuto uno sviluppo normale, per non aver mai avuto amici nemmeno falsi e di facciata nemmeno in giovane età. Con il tempo ho capito che quello che mi è mancato non era una cosa fondamentale, almeno secondo parametri un po' meno superficiali. Sarebbe una botta di culo avere un amico vero. L'amicizia vera, come l'amore, è una cosa che càpita a prescindere del merito.
E poi... ho trascurato, anzi, tormentato l'unica amica che in fondo avrei sempre potuto avere... me stessa. Ma c'è tempo per recuperare. Essere da soli irradia una bellezza completamente nuova rispetto al passato.